Il volume di Roberta Calbi e Virgilio Iandiorio, freschissimo di stampa, è una biografia ragionata, che risponde al nobile intento di rendere omaggio ad una figura eminente del mondo della cultura, delle arti, delle scienze e che ha testimoniato particolare impegno civico al servizio della comunità.
Con una figura del calibro di Otello Calbi, protagonista del libro, non si poteva improvvisare o, peggio, semplificare. Per il semplice motivo che Calbi si è mosso nel mondo della musica di area napoletana come tanti, ma in una sconvolgente pluralità di direzioni.
Il Maestro, figlio del nobilissimo mondo bandistico, ha saputo muoversi, lasciando tracce significative ed edificanti, nei vari contesti in cui la musica si articola e si caratterizza, dall’arte (e la scienza) della composizione, all’attività didattica, dall’organizzazione musicale, all’impegno sindacale in un mondo difficile e controverso come quello dei musicisti.
Stento a trovare un’altra figura che abbia toccato tutti questi mondi della vita musicale con tanta passione e con una competenza che tutti, e ancor oggi, gli ex allievi superstiti, testimoniano non senza una palpitante partecipazione emotiva. Ho avuto la fortuna di insegnare per un quarto di secolo a Napoli, presso il Conservatorio che è stato ineludibile punto di riferimento, nella vita musicale europea. Ho sempre cercato di approfondire l’epoca che segna il passaggio tra otto e novecento. L’ho fatto, giova ribadirlo, senza pretese e con i limiti che mi riconosco.
Si tratta di un periodo cruciale della Storia della Musica a Napoli. Il passaggio dal settecento all’ottocento fu particolarmente complesso e controverso. Una classe di grandi maestri di Composizione (Fenaroli, Zingarelli…tra i tanti) erano stati alle scuole delle grandi figure che operavano nei quattro Conservatori, didatti dello spessore di Francesco Durante per intenderci, si ritrovarono “traghettati” nel nuovo secolo portando con sé il culto di un passato assolutamente centrale nella Storia della Musica di tutti i tempi.
La Scuola di Composizione a Napoli, nel settecento, con la didattica “del partimento”, con la predilezione per le tre direzioni della formazione musicale dell’epoca, l’opera, il sacro, la formazione strumentistica, ambiti che , interpretava e realizzava le finalità formative che oggi definiremmo funzionali all’offerta di lavoro: ogni chiesa aveva il suo Maestro di Cappella, ogni teatro chiedeva una produzione continua, a tratti vorticosa, che doveva rispondere alla domanda di un pubblico che frequentava i teatri, pubblico, peraltro, di ogni condizione sociale.
L’ottocento fu (semplificando analisi più profonde e complesse) per la musica europea , anche sull’onda delle nuove atmosfere letterarie e filosofiche, un’apertura di orizzonti che si traduceva in nuove visioni armoniche, stilistiche , nella comparsa di nuove forme musicali, nei nuovi indirizzi del momento interpretativo. Tutto questo per almeno cinquant’anni non toccò Napoli, o per essere precisi, la didattica musicale a Napoli, che rimase legata ai vecchi stilemi, mentre l’Europa si schiudeva ai nuovi orizzonti. Gli anni dell’impero didattico di Mercadante acuirono questo stato di isolamento anche se qualche spirito libero affrontava le nuove forme musicali con l’occhio attento a ciò che avveniva aldilà delle Alpi. Nel secondo ottocento il risveglio da una sonnolenza culturale deleteria, che si trascinava per troppo tempo, segnò la ri -nascita della produzione musicale a Napoli. Martucci, con Sgambati e altri spiriti attenti …al resto del mondo aprirono lo sguardo verso i nuovi scenari, segnatamente ripristinando l’attenzione verso le forme strumentali.
Per la verità il problema era nazionale ma a Napoli durò più che altrove.
Martucci direttore a Napoli, dopo sedici anni di Direzione del Conservatorio di Bologna (in questo lasso di tempo va segnalata la sua memorabile, coraggiosa interpretazione wagneriana da direttore d’orchestra colto e attento a quanto avveniva fuori dei confini del Paese) riportò luce e spessore alla vita musicale napoletana. Da questo momento una schiera di docenti di composizione rinfrescò una didattica dai contorni finalmente europei. Uno stuolo di compositori di sicuro valore formarono i loro successori sulle cattedre di composizione del Conservatorio di Napoli. Quelli, per intenderci, che dagli anni della Grande Guerra a tututto il ventennio formarono i compositori coevi ad Otello Calbi. Questa mia lunga digressione è assolutamente irrinunciabile per comprendere la testimonianza musicale di Calbi e dei musicisti del suo tempo.
Il volume di Calbi e Iandiorio ( Otello Calbi, rapsodia di un seminatore di note – Arturo Bascetta Editore) ripercorre la storia di una bella famiglia lucana, interamente immersa nella splendida realtà del mondo bandistico, col papà maestro elementare e direttore del locale complesso bandistico; si sofferma sulla famiglia, sui suoi componenti, racconta degli studi severi al Conservatorio di Napoli, registra le testimonianze degli allievi del Maestro ( magnifica e preziosa l’intervista ad Antonio Casagrande interprete dell’opera Il Ritorno).
Ma il pregio del libro va ricercato nello sforzo improbo di seguire un’attività singolarmente multiforme. Calbi compositore, Calbi sindacalista, Calbi organizzatore musicale ma , soprattutto, Otello Calbi premurosamente impegnato a dare ai giovani studenti o giovani diplomati del suo Conservatorio le prime chances artistiche. Le Associazioni che il Maestro fondò e curò trovavano fondamento e coronamento nella promozione di personalità musicali che si affacciavano sulla scena del complesso, esclusivo mondo del concertismo, troppo spesso (e ancor oggi) negato ai giovani di talento senza…” entrature”, tanto per usare un orrendo e abusatissimo termine.
Nel volume tutto questo si evince con chiara immediatezza, mentre il racconto di una vita ricca di stimoli e di momenti di “servizio” alla musica si dipana in un linguaggio che non indulge a ricercatezze, nonostante gli autori siano forti di un solido retaggio di formazione umanistica.
Una sorta di “pudore espressivo” finalizzato a non appannare la figura di un protagonista della vita musicale napoletana che, in forza di tutto ciò che si evince dalla lettura del volume, non poteva e non doveva essere abbandonato all’oblio. Otello Calbi è uno dei tanti compositori di notevole statura che si fecero onore nella prima metà del novecento ma, senza alcun dubbio, l’unico ad aver tenuto fede all’intima necessità morale di pensare ai giovani musicisti e al loro futuro. In tempi nei quali le Amministrazioni Regionali, Provinciali, il Ministero della Cultura dispensano fondi a pioggia, quasi sempre senza alcun “controllo di qualità, Calbi riusciva a donare l’opportunità ai giovani artisti l’impagabile gratificazione dei primi applausi.
Che divenivano, più che l’esame finale di Diploma, il suggello e il crisma del “sentirsi artista”. “…e ci pagava sempre…”, testimoniano molti di quei ragazzi…. Il battesimo artistico e lo sguardo perennemente attento alla “dignità del lavoro”.
Antonio Polidoro
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