Una preziosa testimonianza quella che con evidente affetto filiale, ma soprattutto con profonda ammirazione, Roberta Calbi ci dà dell’illustre genitore a trenta anni dalla sua scomparsa. Otello Calbi <<…ha percorso molte strade, esplorato nuovi percorsi, un po’ restando nella tradizione ma anche cercando e trovando soluzioni nuove…>>
Mettendo ordine nei numerosi appunti lasciati dal Maestro - quasi sintetico diario di bordo – Roberta Calbi ci delinea la figura di un artista instancabile e tenace, sempre appassionato nelle sue manifestazioni musicali, fortemente impegnato nella promozione delle giovani generazioni.
Una serie di flash sui momenti salienti della vita e della carriera del Maestro ci aiutano a scoprire alcuni aspetti del suo carattere. Nato in provincia di Matera approda al San Pietro a Majella per coltivare e far crescere il precoce talento musicale divenendo poi stimato docente della prestigiosa Istituzione dalla fine degli anni ’50 alla pensione. Così viene ricordata la sua esperienza di docente: <<…allievi, prove, concerti, diffondere la musica ai giovani, valorizzare le capacità dei giovani musicisti, questo l’impegno che lo caratterizzava, costante e sempre più intenso…>>
La “rapsodia libera di un seminatore di note” si dipana con grande piacevolezza tra le mani del lettore: si ha modo di conoscere un Otello bambino (fin dall’età di 8 anni suonava nella Banda del suo paese natale), i suoi rapporti con il padre e i fratelli musicisti, le sue frequentazioni ed amicizie – rimaste salde nell’arco della vita – ma si scopre anche un giovane studente dallo sguardo corrucciato al cospetto della storica statua di Beethoven posta nel cortile del conservatorio, un giovane e appassionato allievo di Achille Longo, Gennaro Napoli, Ennio Porrino, un autore di musica da camera e per il teatro, un padre e un marito affettuoso, un critico musicale e un saggista, un uomo di cultura appassionato di poesia…
Per i musicisti della mia generazione e in particolare per quelli che tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 del secolo passato erano studenti di Composizione al San Pietro a Majella, alcuni nomi di docenti e compositori napoletani risuonavano particolarmente familiari: Aladino Di Martino, Bruno Mazzotta, Jacopo Napoli, Alfredo Cece, Otello Calbi … personalità che pur nella diversità del proprio sviluppo artistico, manifestavano tutte quei tratti ascrivibili ad una “comune scuola” napoletana. Con serenità e consapevolezza, ma tutti con proprie personali vedute, questi compositori non persero mai di vista l’emozione del suono (l’espressione melodica, il gusto per l’armonia...), tutto quello cioè che, con furia demolitrice, la “nuova musica” della metà del ‘900 bandiva dalla composizione contemporanea. La loro posizione era sostanzialmente conservatrice, estranea ad eccessi modernistici: essi attinsero consapevolmente alla musica delle diverse epoche storiche (senza escludere anche gli anni a loro contemporanei) purché risultasse utile alla realizzazione delle proprie opere e congeniale al proprio sentire artistico.
Noi “giovani” di lì a qualche anno avremmo intrapreso strade diverse da quelle da loro tracciate, ma la stima e la riconoscenza nei confronti di coloro che a vario titolo contribuirono alla nostra formazione di docenti ed artisti è rimasta salda e immutata nel tempo.
Al di là della diretta discendenza didattica (allievo di Aladino Di Martino, nel mio caso) tutti questi docenti e compositori hanno in qualche maniera influenzato le nostre storie e lanciato dei semi che sono stati raccolti e fatti germogliare.
Sebbene abbia conosciuto il Maestro Otello Calbi di persona quando già cominciavo a muovere i primi passi da docente di composizione, nei primi anni ’90 – quando il Maestro era oramai in pensione - il suo nome mi era invece molto familiare da tempo: le sue pubblicazioni didattiche (Teoria della musica o i Solfeggi manoscritti, firmati a quattro mani col Maestro Giacomo Maggiore per le edizioni Simeoli) circolavano da tempo in Conservatorio, così come pure avevo più volte ascoltato alcune sue composizioni per pianoforte eseguite in concerto da studenti miei coetanei e promettenti pianisti. Il ricordo che ne conservo è quello di una persona calma, ordinata, dall’incedere elegante, magro con occhi scuri e capelli bianchi, che univa alla figura di musicista quello di esperto dei principali meccanismi del management musicale (cosa che ne accresceva la stima nell’interlocutore). Fui quindi estremamente felice di incontrarlo nel momento della rifondazione del MAN – Movimento Artistico Napoletano – che, nato alla fine degli anni ’50, dopo un periodo di inattività risorgeva negli anni ’90 con il rinnovato intento di <<valorizzare la cultura musicale di oggi e la storia di domani>>. Fummo in tanti ad avvicinare il Maestro e a chiedergli di aiutarci nel promuovere le nostre composizioni. Fui apprezzato ed ebbi il privilegio di assistere in più di una occasione ad ottime esecuzioni di mie composizioni da camera a cura di valenti musicisti (il Maestro sceglieva i giovani compositori da promuovere e sosteneva l’organizzazione e le spese delle esecuzioni delle musiche che erano sempre molto curate).
Qualche mese fa, in occasione del convegno tenutosi in conservatorio sulla Scuola pianistica napoletana del ‘900, ho rivissuto l’emozione di un tempo passato, quando, giovane compositore, ebbi l’onore di condividere il programma di sala di alcuni concerti con i nostri Maestri, con coloro che tanto hanno dato alla storia del nostro conservatorio e ancor più hanno fatto contribuendo alla nostra crescita culturale e professionale. Nel programma di sala, Otello Calbi.
Gaetano Panariello
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